PENSIONE MACCHINISTI FERROVIE

PENSIONE MACCHINISTI FERROVIE

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Lettera aperta informativa al Presidente del Consiglio, ai Presidenti di Camera e Senato, al Ministro del Lavoro, alle Commissioni Lavoro di Camera e Senato.

 

A cura della Commissione Pensioni di “ancora IN MARCIA!”

UNA STORIA TUTTA ITALIANA

(cosa è accaduto ai ferrovieri con la Legge Fornero)

 I collezionisti di paradossi

Roma, 26 giugno 2018 – Quella che segue è la assurda cronistoria di quanto accaduto ad una particolare categoria di lavoratori che da sempre occupa un posto speciale nell’immaginario collettivo: i macchinisti delle ferrovie. Queste le premesse: agli inizi del 1900 macchinisti danno l’impulso fondamentale alla nascita dei sindacati e, dopo anni di lotte e scioperi, nel 1958 ottengono una legge (la 425) che, riconoscendo la gravosità del lavoro,  la aciclicità dei turni, l’altissima professionalità , lo stress da lavoro correlato, le tante malattie professionali e la ridotta aspettativa di vita, stabilìsce il diritto per questa categoria di andare in pensione a 58 anni e una rivalutazione dei contributi di un anno ogni 10. Ciò dà l’impulso anche ai lavoratori del  trasporto pubblico locale di chiedere ed ottenere un Fondo e una legge speciali che prevedono la pensione a 60 anni per gli autisti e tranvieri, e successivamente anche i lavoratori delle cave, delle catene di montaggio, le forze dell’ordine, i pompieri ecc., ottengono le cosiddette “leggi sui lavori usuranti”.
Tra gli anni 50 e gli anni 80 però cambiano molti parametri lavorativi per i macchinisti: ai treni a vapore si aggiungono i treni diesel e le veloci locomotive elettriche (140-160 Km/h), si costruiscono le prime linee ad alta velocità (200km/h) e si adeguano le vecchie linee, per cui le tratte percorse giornalmente si allungano (dai 100-150 Km a 200-300km), con l’evoluzione tecnologica aumenta esponenzialmente la professionalità, cosi come le responsabilità e lo stress. Per compensare questi appesantimenti lasciando inalterate le regole pensionistiche, negli anni 90 i macchinisti ottengono la diminuzione dell’orario lavorativo (da 11 ore a 8), la figura dell’aiuto macchinista, con minore professionalità, viene sostituita da un secondo macchinista di pari preparazione, allungamenti dei riposi tra due servizi e dei riposi settimanali, miglioramenti salariali e vari accorgimenti logistici che rendono realizzabile quella richiesta di maggiore produttività. Poi si avvicina il nuovo Millennio e per i macchinisti inizia l’era dei paradossi:con il DM 19/05/1999 sono stati definiti i lavori particolarmente usuranti nel quale i macchinisti NON SONO STATI INSERITI (si dirà… in quanto godevano di quella legge 425/58 che era specifica per i ferrovieri e molto più vantaggiosa, poi vedremo cosa succede…).E’ utile ricordare come viene definita l’attività usurante: un lavoro particolarmente pericoloso, OPPURE lavorare all’interno di gallerie, OPPURE in ambienti angusti, OPPURE lavorare a contatto con sostanze nocive, come ad es. Amianto o PCB, OPPURE essere sottoposti a forti Campi Elettromagnetici, o a continui rumori e vibrazioni, OPPURE lavorare spesso in orari notturni OPPURE con turnazioni anomale e irregolari, OPPURE lavorare in condizioni di forte stress.Sembrerà assurdo, ma i fatti che seguono riguardano una categoria di lavoratori che per anni ha subito in silenzio TUTTI INSIEME questi disagi e inconvenienti, e lo ha fatto non solo per forte senso del dovere, ma anche perché sapeva di poter contare su un sicuro pensionamento anticipato a 58 anni.Ma vediamo per gradi cosa accade.Con la L.488 del 23/12/1999 il Fondo pensioni “speciale” viene soppresso, i nuovi assunti dopo il 31/03/2000 saranno iscritti all’INPS e il primo paradosso sta nel fatto che questi macchinisti con lo stesso inquadramento, la stessa professionalità, che fanno lo stesso lavoro degli altri, non avrebbero goduto della stessa rivalutazione di un anno ogni dieci e avrebbero perso il diritto alla pensione massima con 37 anni di contributi.Arrivano i primi elettrotreni veloci (300 Km/h), si inaugurano nuove tratte ad alta velocità e inevitabilmente aumenta il livello di professionalità, si allungano le tratte percorse giornalmente (da Roma si arriva a Bolzano, a Genova o a Bari senza neanche la possibilità di andare in bagno), aumenta il livello di attenzione, aumenta lo stress, aumentano i rischi, aumentano i campi elettromagnetici, e paradossalmente cosa accade? In un assordante silenzio sindacale, in una folle rincorsa alla produttività esasperata, l’orario lavorativo passa da 8 ore, prima a 8.45, poi a 9 e infine a 10 ore giornaliere, i riposi tra due servizi passano da 20 ore a 16, poi a 11 ore, ma soprattutto si passa DA DUE AD UN SOLO MACCHINISTA alla guida dei treni. Passa qualche anno e nel 2010 alla collezione di paradossi si aggiunge il cosiddetto provvedimento “Taglia Leggi”, che lasciando inalterate le altre categorie, cancella la legge 425 dei ferrovieri senza prevedere alcuna alternativa e (altro paradosso?) nella totale indifferenza dei sindacati e dell’INPS.Arriviamo a dicembre 2011 e con la “Salva-Italia” le pensioni slittano a 66/67 anni, ad eccezione di alcune categorie da salvaguardare, che vengono tutelate al comma 18 dell’art.24. Ma paradossalmente i ferrovieri, e i macchinisti in particolare, che erano già stati duramente colpiti dal “Taglia Leggi”, sono stati aggiunti a parte nell’ultimo capoverso di quel comma 18, forse proprio in virtù del fatto che essi dovevano godere di una legge specifica, che in realtà non c’era più, ma nessuno ci aveva fatto caso. Ma non basta!!! Per un errore di forma in quel fatidico ultimo capoverso del comma 18 viene scritta la parola “articolo” invece di “comma” e così, paradossalmente, i macchinisti non rientreranno più neanche nelle categorie da “armonizzare”. E cosa è successo? Assolutamente nulla. Nessuno se ne accorgerà, men che meno i sindacati, fino al 14 marzo del 2012, quando l’INPS emana un messaggio nel quale specifica chiaramente che per TUTTI i ferrovieri il nuovo limite di età per la pensione è di 66 anni, che gradualmente diventeranno 67. Ma la stessa circolare ci regala un altro paradosso, poiché nella stessa si afferma che le regole della “Salva-Italia” non valgono per il “personale viaggiante” dei pubblici servizi (autisti e tranvieri per capirci) per cui questi (giustamente, diciamo noi) continueranno ad andare in pensione a 60 anni.

A questo punto, almeno tra i macchinisti, scoppia il panico e un piccolo gruppo di questi ultimi prende coraggio e cerca contatti con qualche componente della Commissione Lavoro. Non appena gli Onorevoli Damiano (PD), Paladini (IdV) e Muro (FLI) capiscono cosa era successo, saltano dalla sedia e cominciano a fare interrogazioni, emendamenti e proposte di rettifica, ma il governo non riesce a capire ne la gravità di ciò che aveva avallato (pensiamo solo ai rischi di far guidare un treno ad un solo macchinista di 66 anni) ne al fatto che i costi per riparare questo gravissimo errore erano irrisori (circa 4 milioni di Euro all’anno), così si arriva fino alla crisi del governo Monti senza aver cambiato una virgola. Intanto i macchinisti continuano nella loro collezione di paradossi, poiché a settembre 2012 è stato approvato il nuovo Contratto di Lavoro che, invece di compensare tutti quei peggioramenti sopra accennati, gli ha regalato due ore di lavoro in più a settimana, cioè dodici giorni di riposo in meno ogni anno, un sistema di programmazione turni informatizzato che sfrutta gli orari di lavoro al millesimo, l’ennesimo allungamento delle tratte percorribili, ecc. ecc…

Ma il vero Jolly dei paradossi, quello che vale doppio, è sbucato fuori qualche mese fa quando, andando a ricercare documenti da proporre ai politici, ci siamo imbattuti in una ricerca medica degli anni ’70-’80 fatta presso l’Università di Firenze su 400 macchinisti, dalla quale si evince che l’aspettativa di vita per questa categoria era di circa 64 anni. Ora, pur ammettendo che, nonostante gli appesantimenti degli orari e di tutte le altre variabili, tale aspettativa di vita sia rimasta uguale o addirittura aumentata di qualche anno, significherebbe comunque che statisticamente un grandissimo numero morirà non appena raggiunta la pensione, ma un altrettanto grande numero morirà DURANTE l’età lavorativa, alla faccia dell’equità tra lavoratori (principio garantito dalla Costituzione) e della sicurezza nelle Ferrovie.

Nel frattempo, alla nostra redazione continuano a giungere notizie di macchinisti che muoiono per malattia: siamo arrivati alla drammatica cifra di 63 colleghi scomparsi dal gennaio 2015, quasi tutti di età compresa tra i 53 e i 63 anni, principalmente a causa di tumori o malattie di cuore.

In questi tre anni le abbiamo provate tutte: incontri con parlamentari di tutto l’arco parlamentare, convegni in tutta Italia per sensibilizzare colleghi e cittadini, abbiamo inviato questo e altri documenti a tutte le principali testate cartacee e on-line, a tutte le trasmissioni TV di carattere sociale, ecc. ecc…

Il risultato è stato il completo disinteresse dei mass media (tranne qualche eccezione) e una fredda e determinata presa per i fondelli da parte del governo che a parole condivideva tutte le nostre richieste, ma nei fatti ad ogni occasione bocciava le proposte di correzione dell’errore. A cadenza regolare, viene proposta dai politici ALL’UNANIMITA’ la soluzione al problema e puntualmente la Commissione Bilancio la boccia.

Ma non è un paradosso anche questo, che per correggere una parola sbagliata in una legge che doveva recuperare 24 Miliardi e invece ne ha “strappati” oltre 80, è necessaria una copertura finanziaria? Ma non solo!!! A dicembre 2013 non sapendo come far saltare la proposta di legge che ci riguardava, il Governo ha dichiarato che “costavamo troppo” (intorno ai 300 milioni) e comunque mancavano dati certi. Noi macchinisti abbiamo calcolato che il costo doveva essere intorno agli 11 milioni e ad aprile 2014 l’INPS comunicava che, in caso di armonizzazione, per coprire tutto il transitorio dei lavoratori che sarebbero andati in pensione con le regole precedenti, occorrevano 10 MILIONI nel 2014.

NONOSTANTE QUESTO DOCUMENTO UFFICIALE, IL 26 NOVEMBRE LA COMMISSIONE BILANCIO E’ RIUSCITA A BOCCIARE L’ENNESIMO EMENDAMENTO ALLA STABILITA’ DICENDO CHE CORREGGERE L’ERRORE (CHE LORO HANNO FATTO!!!) AVEVA UN COSTO DI 250 MILIONI!!!  Stiamo pagando uno stuolo di ragionieri incompetenti e incapaci o in malafede!!!

RIPRISTINARE LA LEGALITA’ E’ UN PRECISO DOVERE DI OGNI PARLAMENTARE OLTRE CHE UN DIRITTO PER I LAVORATORI INTERESSATI!

Ad ogni Legge di stabilità sono state presentate proposte di Legge ed Emendamenti volti a correggere questa grave anomalia.
La Commissione Bilancio di turno ha sempre bocciato ogni modifica sempre per “mancanza delle coperture economiche”, ma attenzione: NESSUNO HA MAI DETTO CHE NON SIA STATO UN ERRORE!

Oggi, dopo anni di ricerche, abbiamo anche importantissimi documenti che attestano in maniera inoppugnabile che la volontà del legislatore era esattamente quella di “armonizzare” anche i ferrovieri, al pari di Lavoratori del Sottosuolo, Forze dell’Ordine, Esercito ma anche Tersicorei, Coristi, Orchestrali e persino Sportivi Professionisti! I macchinisti, che guidano i nostri treni a 300 Km/h NO.

I documenti succitati sono:

– Relazione tecnica del Servizio Studi – Dipartimento bilancio della Camera dei    Deputati – Progetto di Legge n. 570del 08/12/2011

– Relazione tecnica del Servizio Studi – Dipartimento bilancio della Camera dei    Deputati – Progetto di Legge n. 570del 14/12/2011

– Dossier del Servizio Studi del Senato – XVII Legislatura – Atto del Governo n. 11 – maggio 2013 – N. 12.

Neanche questo è bastato a fare chiarezza, non sono serviti gli incontri con i vari Ministri, Sottosegretari, Membri delle Commissioni Lavoro e persino con la Ragioneria di Stato.

Da alcuni mesi abbiamo avviato una campagna nazionale di ricorsi alle varie Corti dei Conti, contestando l’interpretazione dell’INPS con la circolare 35 del marzo 2012.

Al momento registriamo qualche ricorso rigettato, alcuni in attesa di udienza, altri in attesa di sentenza ed è notizia di questi ultimi giorni l’accoglimento di un ricorso in Puglia in cui il Giudice sposa in pieno le nostre tesi (sentenza N. 474/2018 del 08/06/2018).

Questo conferma ulteriormente e definitivamente che siamo dalla parte della ragione e in uno Stato civile e democratico è una sconfitta per tutti se il Parlamento demanda ai Giudici la correzione di un errore, universalmente riconosciuto, commesso da un governo precedente.

25  GIUGNO 2018

 

 

A cura della Commissione Pensioni di “ancora IN MARCIA!”

 

 

Info:  Matteo Mariani,   Gian Pietro Salvatori, Pino Chillè,   Luciano Ciriello,   Marco Crociati.

 

 

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